Nel terzo incontro del ciclo dedicato all’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, il cardinale vicario De Donatis ha parlato di un Dio che decide «lucidamente» di dimenticare i nostri peccati

Le beatitudini, ovvero la rotta da seguire per diventare santi. Proclamate da Gesù in Galilea rappresentano la «carta d’identità del cristiano» come le definisce Papa Francesco. Tre delle otto beatitudini enunciate nel Vangelo di Matteo sono state al centro del terzo incontro dedicato all’esortazione apostolica di Bergoglio “Gaudete et exsultate” svoltosi ieri sera, lunedì 10 dicembre, nella basilica di San Giovanni in Laterano. Organizzata dalla diocesi di Roma per l’anno pastorale in corso, tema della catechesi è stata “La scala della felicità. GE 65-94. San Francesco d’Assisi: Nell’umiltà la grandezza”. L’incontro è stato organizzato in collaborazione con la Direzione Generale per lo studente, lo sviluppo e l’internazionalizzazione della formazione superiore del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (Miur).
Il cardinale vicario Angelo De Donatis ha rimarcato che la santità è «una chiamata rivolta a tutti» ma per accoglierla bisogna entrare in una relazione d’amore con il Padre e «affermare che Colui che chiama è Colui che dona». In quest’ottica le beatitudini raffigurano il «codice di santità del battezzato». Beati i poveri, beati gli afflitti e beati i puri sono i primi tre pioli da salire sulla scala che conduce alla felicità. Una felicità che il mondo definisce «paradossale» ha spiegato il porporato perché «non si identifica immediatamente con la realizzazione di sé, con il successo nella propria esistenza, con il soddisfacimento di tutti i propri desideri» ma matura nel tempo in una relazione di fiducia e abbandono.
Per intraprendere questo cammino bisogna quindi oltrepassare la porta della povertà evangelica ha proseguito il cardinale analizzando la prima beatitudine insegnata da Cristo vicino a Cafarnao, quella che riguarda “i poveri in spirito”. “Beati gli afflitti” sono un altro paradosso per la società odierna nella quale «ci affliggiamo per tante cose, poco dei nostri peccati – ha aggiunto De Donatis –. Viviamo nella società dello scandalo per cui il male deve far parlare. La ricerca mediatica del capro espiatorio è diventata la cifra della comunicazione contemporanea e il mondo ecclesiale non è esente da questa dinamica». Ma l’afflizione reale è quella che permette di guardare alle conseguenze dei propri peccati «con lucidità» consapevole che «c’è un Dio che lucidamente decide di dimenticarli».
Infine il cardinale si è soffermato sui “beati i puri di cuore”, intesa nel fare le cose per amore di Dio. «Qui ci vorrebbe un serio esame di coscienza ecclesiale – ha concluso – quante cose belle facciamo, ma quante cose compiamo per essere ammirati dagli altri».
(fonte: Avvenire - RomaSette, 11 dicembre 2018)

Le beatitudini, ovvero la rotta da seguire per diventare santi. Proclamate da Gesù in Galilea rappresentano la «carta d’identità del cristiano» come le definisce Papa Francesco. Tre delle otto beatitudini enunciate nel Vangelo di Matteo sono state al centro del terzo incontro dedicato all’esortazione apostolica di Bergoglio “Gaudete et exsultate” svoltosi ieri sera, lunedì 10 dicembre, nella basilica di San Giovanni in Laterano. Organizzata dalla diocesi di Roma per l’anno pastorale in corso, tema della catechesi è stata “La scala della felicità. GE 65-94. San Francesco d’Assisi: Nell’umiltà la grandezza”. L’incontro è stato organizzato in collaborazione con la Direzione Generale per lo studente, lo sviluppo e l’internazionalizzazione della formazione superiore del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (Miur).
Il cardinale vicario Angelo De Donatis ha rimarcato che la santità è «una chiamata rivolta a tutti» ma per accoglierla bisogna entrare in una relazione d’amore con il Padre e «affermare che Colui che chiama è Colui che dona». In quest’ottica le beatitudini raffigurano il «codice di santità del battezzato». Beati i poveri, beati gli afflitti e beati i puri sono i primi tre pioli da salire sulla scala che conduce alla felicità. Una felicità che il mondo definisce «paradossale» ha spiegato il porporato perché «non si identifica immediatamente con la realizzazione di sé, con il successo nella propria esistenza, con il soddisfacimento di tutti i propri desideri» ma matura nel tempo in una relazione di fiducia e abbandono.
Per intraprendere questo cammino bisogna quindi oltrepassare la porta della povertà evangelica ha proseguito il cardinale analizzando la prima beatitudine insegnata da Cristo vicino a Cafarnao, quella che riguarda “i poveri in spirito”. “Beati gli afflitti” sono un altro paradosso per la società odierna nella quale «ci affliggiamo per tante cose, poco dei nostri peccati – ha aggiunto De Donatis –. Viviamo nella società dello scandalo per cui il male deve far parlare. La ricerca mediatica del capro espiatorio è diventata la cifra della comunicazione contemporanea e il mondo ecclesiale non è esente da questa dinamica». Ma l’afflizione reale è quella che permette di guardare alle conseguenze dei propri peccati «con lucidità» consapevole che «c’è un Dio che lucidamente decide di dimenticarli».
Infine il cardinale si è soffermato sui “beati i puri di cuore”, intesa nel fare le cose per amore di Dio. «Qui ci vorrebbe un serio esame di coscienza ecclesiale – ha concluso – quante cose belle facciamo, ma quante cose compiamo per essere ammirati dagli altri».
(fonte: Avvenire - RomaSette, 11 dicembre 2018)
Commenti
Posta un commento