Il Papa alla messa della vigilia di Natale: «Il nostro cuore è a Betlemme, no alla logica delle armi»
Città del Vaticano - «Il nostro cuore stasera è a Betlemme, dove ancora il Principe della pace viene rifiutato dalla logica perdente della guerra, con il ruggire delle armi che anche oggi gli impedisce di trovare alloggio nel mondo». Francesco celebra la sua undicesima Messa di Natale da Papa mentre il mondo è sempre più frantumato da quella che dall’inizio del pontificato ha definito una «terza guerra mondiale a pezzi». Ma «stanotte l’amore cambia la storia», sospira, la voce ancora fragile dopo la bronchite che lo ha colpito a fine novembre.
All’Angelus aveva ricordato tutti coloro che soffrono per i conflitti, «pensiamo alla Palestina, a Israele, all’Ucraina». E ora, nella Basilica di San Pietro, ripercorre il racconto evangelico di Luca della notte di Natale, il «censimento di tutta la terra» ordinato da Cesare Augusto e il «grande contrasto» tra l’«imperatore che conta gli abitanti del mondo» e «Dio che vi entra quasi di nascosto». Eppure, Dio non punisce il censimento, com’era accaduto a Re Davide, «ma si lascia umilmente conteggiare», dice Francesco: «Non vediamo un dio adirato che castiga, ma il Dio misericordioso che si incarna, che entra debole nel mondo, preceduto dall’annuncio: “sulla terra pace agli uomini”».
Il censimento «manifesta da una parte la trama troppo umana che attraversa la storia: quella di un mondo che cerca il potere e la potenza, la fama e la gloria, dove tutto si misura coi successi e i risultati, con le cifre e con i numeri: è l’ossessione della prestazione», nota il Papa. «Ma al contempo, nel censimento, risalta la via di Gesù, che viene a cercarci attraverso l’incarnazione. Non è il dio della prestazione, ma il Dio dell’incarnazione. Non sovverte le ingiustizie dall’alto con forza, ma dal basso con amore; non irrompe con un potere senza limiti, ma si cala nei nostri limiti; non evita le nostre fragilità, ma le assume».
La riflessione di Bergoglio ruota intorno al contrasto tra il Dio autentico «dell’Incarnazione» e quello «della prestazione», un dio con l’iniziale minuscola che gli uomini si sono costruiti a loro immagine. «Noi in che Dio crediamo? Perché c’è il rischio di vivere il Natale avendo in testa un’idea pagana di Dio, come se fosse un padrone potente che sta in cielo; un dio che si sposa con il potere, con il successo mondano e con l’idolatria del consumismo», dice. «Sempre torna l’immagine falsa di un dio distaccato e permaloso, che si comporta bene coi buoni e si adira coi cattivi; di un dio fatto a nostra immagine, utile solo a risolverci i problemi e a toglierci i mali». E invece «Lui non usa la bacchetta magica, non è il dio commerciale del “tutto e subito”, non ci salva premendo un bottone, ma si fa vicino per cambiare la realtà dal di dentro», esclama Francesco.
E le sue parole sembrano evocare anche le polemiche interne alla stessa Chiesa per le aperture di un Papa deciso a ripetere, come diceva ai ragazzi della Gmg: «Nella Chiesa c’è posto per tutti, così come siamo. Tutti, tutti, tutti!». Così Francesco alza lo sguardo e scandisce: «Eppure, quanto è radicata in noi l’idea mondana di un dio distante e controllore, rigido e potente, che aiuta i suoi a prevalere contro altri! Ma non è così: Lui è nato per tutti, durante il censimento di tutta la terra».
Lo «stupore del Natale» risiede in un Dio «che ci rispetta al punto da permetterci di rifiutarlo», non si tratta di «un miscuglio di affetti sdolcinati e di conforti mondani» ma della «inaudita tenerezza di Dio che salva il mondo incarnandosi». Il presepe con il Bambino posato nella mangiatoria «è il segnale rivelatore del volto di Dio, che è compassione e misericordia, onnipotente sempre e solo nell’amore».
Le parole di Francesco sono rivolte a ciascuno dei fedeli: «Fratello, sorella, per Dio che ha cambiato la storia durante il censimento tu non sei un numero, ma un volto; il tuo nome è scritto nel suo cuore. Ma tu, guardando al tuo cuore, alle tue prestazioni non all’altezza, al mondo che giudica e non perdona, forse vivi male questo Natale, pensando di non andare bene, covando un senso di inadeguatezza e di insoddisfazione per le tue fragilità, per le tue cadute e i tuoi problemi. Oggi, per favore, lascia l’iniziativa a Gesù che ti dice: “Per te mi sono fatto carne, per te mi sono fatto come te”. Perché rimani nella prigione delle tue tristezze?». In un mondo «sempre indaffarato e indifferente», come la gente che a Betlemme riempiva alloggi e locande, il Papa invita a stare «vicini a Gesù» come Maria, Giuseppe, i pastori e poi Magi: «Impariamo da loro. Stanno con lo sguardo fisso su Gesù, con il cuore rivolto a Lui. Non parlano, ma adorano».
Perché «adorare non è perdere tempo, ma permettere a Dio di abitare il nostro tempo», conclude Francesco citando una lettera di J.R.R. Tolkien, l’autore de «Il Signore degli Anelli»: «Un grande narratore di imprese epiche scrisse a suo figlio: “Ti offro l’unica cosa grande da amare sulla terra: il Santissimo Sacramento. Lì troverai fascino, gloria, onore, fedeltà e la vera via di tutti i tuoi amori sulla terra”».
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